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Lussazione acromio-claveare acuta: la gestione ottimale

La lussazione acromio-claveare (o lussazione della clavicola) è purtroppo una diagnosi tutt’altro che rara in alcuni sport: per i giocatori di rugby rappresenta l’infortunio più frequente, arrivando a rappresentarne il 32% in alcune casistiche; non meno esposti possono essere altri atleti di sport a rischio di traumi ad alta energia come ad esempio lo sci alpino o lo snowboard.

Meccanismo patologico

Come ci si procura questa lesione? Una caduta sulla parte laterale della spalla, con il gomito vicino al corpo, è senz’altro la causa piu’ frequente.
In caso di un forte impatto, come avviene spesso durante la pratica di uno sport da contatto, possono cedere i legamenti coraco-acromiali, coraco-claveari o addirittura,  nel caso di traumi ad alta energia, possono rompersi le inserzioni dei muscoli deltoide e trapezio.
A seconda del tipo di lesione la lussazione acromio-claveare può essere classificata in gradi differenti (da I a VI) (classificazione di Rockwood).

Esame clinico ed indagini radiologiche

La diagnosi come sempre si basa sull’esame clinico, che però talvolta non è possibile eseguire accuratamente nella fase acuta del dolore. La lussazione può comunque essere facilmente riconosciuta a causa della deformazione del profilo della spalla. Si ricorre inoltre all’analisi radiografica (Zanca view e proiezione ascellare) che permette di ben evidenziare le alterazioni anatomiche dell’articolazione, oltre che a escludere l’eventuale presenza di una frattura. Altri tipi di proiezione possono aiutare ad individuare una componente di instabilità orizzontale.
Infine la risonanza magnetica può essere utile in alcun casi per visualizzare le lesioni legamentose.

Trattamento conservativo

Chi mi segue sa che quando possibile cerco di evitare l’intervento chirurgico.
Se la lussazione di cui ci stiamo occupando e’ di tipo I, II e III (classificazione di Rockwood) e non presenta una componente di instabilità orizzontale, si può optare per un trattamento conservativo.
Le tecniche praticabili sono numerose. Personalmente consiglio un semplice reggibraccio o un bendaggio a 8 e l’utilizzo di analgesici e ghiaccio per la fase acuta del dolore, che solitamente dura al massimo 3-4 settimane, per poi concentrarsi sulla fisioterapia: è necessario rinforzare la catena funzionale spino-scapolo-omerale, in particolare la muscolatura periscapolare (romboidi, trapezio, gran dorsale ed elevatore della scapola) per compensare la mancanza del supporto del legamento dovuto all’infortunio. Per seguirvi in questa fase vi consiglierò un fisioterapista di mia fiducia in modo per essere certo che veniate seguiti nel migliore dei modi.

Intervento Chirurgico

In caso di lussazioni più gravi però l’intervento chirurgico è consigliato. Le tecniche in uso sono varie, dalle viti di Bosworth, alle placche di Hook, ai pinning con fili di Kirschner e tension banding, ai transfer del legamento coracoacromiale .
Negli ultimi anni si sono sviluppate con ottimi risultati anche tecniche artroscopiche.
Il mio approccio chirurgico prevede una tecnica mista: una parte “open”, finalizzata a riparare i legamenti coraco-acromiali e la fascia trapezio-deltoidea – che non possono essere riparati artroscopicamente – ed una parte “artroscopica” per i legamenti coraco-claveari che vengono riparati con un sistema di bottoni e fili.

Riabilitazione

Nessun trattamento comunque potrà dare risultati ottimali se non sarà seguito da un corretto percorso riabilitativo. Occorre neutralizzare la forza di gravità che si oppone alla guarigione dei legamenti riparati. Nelle prime 6 settimane dopo l’intervento chirurgico sarà quindi necessario adottare un tutore che tenga il braccio abdotto per poi introdurre per almeno altre 6 settimane una mirata fisioterapia. Il ritorno all’attività sportiva è solitamente possibile dopo circa 5-6 mesi dall’intervento.

 

Fonte: Tauber M. Management of acute acromioclavicular joint dislocations: current concepts. Arch Orthop Trauma Surg (2013) 133:985–995 DOI 10.1007/s00402-013-1748-z

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